La pagliuzza e la trave

Sul numero di luglio 2015 della rivista satirica livornese “Il vernacoliere”, a pag. 28 trovate questa “lapide”: Agli zingari/Quarantamila/Che vivono in Italia/Dediti al furto, al ladrocinio/Alle ruberie/GLI EVASORI FISCALI/DIECI MILIONI/SUL SUOLO PATRIO/INFEROCITI POSERO – Pilade Cantini, che apre la mente a una riflessione non facile e non scontata.

La questione che viene posta è il differente giudizio su cosa è giusto e su cosa non è giusto a seconda di chi è il soggetto giudicato. Tema antico, per gli umani, che ritroviamo anche nel detto evangelico della trave (nel proprio occhio) e della pagliuzza (che vediamo nell’occhio dell’altro). Quando giudichiamo l’altro – specie se dall’interno di un pregiudizio, come accade agli italiani più che a ogni altro popolo europeo – siamo severi e inflessibili, quando giudichiamo noi stessi siamo indulgenti e comprensivi sino alla cecità. Avete sentito tante volte le strazianti parole di Salvini sui soldi della comunità spesi per i profughi (che in realtà vanno al 90% agli italiani che si occupano di loro, per la verità), o le lamentele sulle ruberie dei politici e sugli sprechi della pubblica amministrazione. Certo esistono e vanno combattute con ogni mezzo, ma perché non assumersi anche la responsabilità di guardare i comportamenti diffusi, quelli che coinvolgono milioni di persone come gli evasori citati da Pilade? Perché non riflettiamo sul fatto che l’evasione fiscale nel nostro paese (91 miliardi annui nel periodo 2007-2012, dei quali 40 solo di IVA) è un danno immane per tutti? Con solo la metà di quei soldi si potrebbero creare occasioni di lavoro per i disoccupati, si potrebbe sostenere i più deboli socialmente, si potrebbe investire in ricerca e istruzione, e avanzerebbero ancora risorse da destinare alla solidarietà verso chi fugge dalla guerra e dalla fame e, infine, ne pagheremmo meno tutti, di tasse.

 

Nessuno deve rubare, indipendentemente dall’etnia e dal ceto sociale di appartenenza: né gli zingari, né chi amministra o gestisce la cosa pubblica, né quelli che non contribuiscono, nel modo che spetta loro, alla ricchezza della comunità in cui vivono. Tutti devono rispettare le regole pagando il dovuto, cercando attraverso la politica di cambiare le regole sulle tasse se, come nel caso dell’Italia, queste sono davvero troppo alte. Ma dopo aver pagato quelle che oggi spetta di pagare.

E qui andiamo ancor più lontano di quanto riportato nei Vangeli, sino al Mahabharata,un poema epico scritto circa duemila anni prima di Cristo. Lì troviamo due versi che ci indicano in modo certo e infallibile come distinguere la critica del giusto da quella dell’ingiusto: «L’uomo giusto si addolora nel biasimare gli errori altrui, il malvagio invece ne gode». Che spiega bene perché non bisogna star dietro a chi soffia sull’odio: è lui l’ingiusto, il vero avversario da fermare prima che faccia (altri) danni.

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