Governare, governarsi

La sensazione di noi cittadini è quella di essere su una nave con i motori bloccati, in mezzo al mare e con nuvole minacciose in testa, cioè senza governo e con problemi che si fanno sempre più drammatici addosso. La stessa sensazione fu di Dante («Ahi serva Italia, di dolore ostello, 
nave sanza nocchiere…»), circa settecento anni fa. La stessa desolazione fu attribuita a Giolitti, Mussolini, Berlusconi: «Governare gli italiani non è impossibile, è inutile». Potremmo trovare altri mille esempi storici di sconforto nella storia delle società, e ciò prova quanto sia purtroppo normale attraversarli e quanto sia normalmente difficile per gli umani darsi un buon governo.

 

Governare è un’arte, e arte è tutto ciò che richiede un’abilità speciale: nasce da una vocazione, (a volte persino da una costrizione esterna, che fa scoprire un’attitudine), e si conquista con un apprendistato, un tirocinio, un’esperienza che consente, nel tempo, un perfezionamento interminabile. Imparare un’arte significa, infatti, possedere la capacità di gestire con perizia un certo tipo di complessità: quella del fabbro, o del musicista, o dello scrittore, ad esempio, e consente di produrre il miglior risultato possibile, in quel momento e in quelle condizioni. L’arte del governare è la più difficile e incerta e imperfetta tra tutte, perché chi governa una famiglia o uno Stato deve tentare di comporre insieme bisogni, spinte e condizionamenti opposti tra loro, trovando il miglior compromesso tra l’ottimo e il possibile, tra ciò che sarebbe giusto fare e ciò che realisticamente si può fare. Tanto è semplice indicare gli obiettivi (equità, sicurezza, addirittura la felicità, com’è scritto nella Costituzione degli USA), tanto è complicato disporre strumenti e azioni per conquistarli, quegli obiettivi.

Per questo non basta essere onesti e avere buone intenzioni per saper governare. Siamo nella tenaglia tra una vecchia classe politica incapace di rinnovarsi e perciò sclerotizzata, e una nuova (i grillini) incapace di assumersi la responsabilità di far qualcosa di utile, oltre che difendere la propria sterile verginità e, forse, l’inettitudine sottostante. L’arte del governare è la più nobile perché ha lo scopo di far vivere e progredire le comunità, e richiede competenze alte, incarnate da persone forti e affidabili, da scegliere con cura, sostenere e sorvegliare. Questo è quel che accade in democrazia, un sistema in cui, dopo ogni elezione, ogni popolo ha il governo che si merita.

Se questo è vero, però, allora occorre che ciascuno si senta parte in causa e assuma la sua responsabilità, riconoscendo che governare significa governarsi, essere attenti alle proprie, di scelte, a tutti i propri comportamenti, inclusa la scelta di chi deve dirigere la nave. Per non passare dagli Schettino ai pinguini di Madagascar.

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