Il dolore assoluto

C’è una cosa che tutti, anche quelli che tra noi sembrano duri e cinici, sappiamo bene: non c’è peggior dolore della perdita di un figlio, e tanto più è piccolo tanto più è acuto il dolore. Qualcuno si è anche esercitato, attraverso una ponderosa ricerca, a stilare una graduatoria dei dolori più forti. Forse non ce n’era bisogno, ma anche lì è stato confermato il dato: è quella la perdita peggiore. Quella che non trova parole di consolazione. Quella che – al solo pensiero – fa sudare i preti che devono fare l’orazione funebre cercando l’impossibile: mettere insieme la morte di un ragazzo con qualche disegno divino. Quella perdita che fa tremare nell’afasia l’amico che deve avvicinarsi al genitore che ha subìto l’evento.

Come se quel dolore assoluto non fosse ancora abbastanza, a qualcuno ne tocca anche un’aggiunta, di dolore, che si presenta quando la morte assurda è procurata, da altri o da se stessi, attraverso l’omicidio o il suicidio. Allora il sentimento dell’ingiustizia, l’incapacità di comprendere, il senso di colpa – che ti tormenta anche se non hai alcuna colpa – per non aver capito prima o per non aver prima protetto abbastanza il giovane, tutto questo si abbatte su coloro che lo amavano come un enorme, altro, macigno.

Omicidio e suicidio sono atti ignobili e, nel caso di un giovane, sono lo sterminio assurdo di tutte quelle persone che il suicida o l’assassinato avrebbero potuto essere. Sono il temporaneo massacro di tutte quelle persone che a lui erano legate. Per questo non c’è nulla di eroico o di grandioso nella morte procurata di un giovane. Ci sono solo lo sterminio ignobile e il massacro. Quindici anni fa è toccato ad Angela e Mimmo questo dolorosissimo passaggio. Hanno avuto il sostegno di una comunità intera, che si è stretta intorno a loro, ma grazie anche alla loro capacità di non separarsi dal mondo. Sono stati, loro sì, eroici.

Qualche settimana fa è toccato ai genitori di Melissa, colpita in un attentato inimmaginabile, il trovarsi immersi in questo fiume di dolore immenso e insensato. Capiterà ancora, perché anche la morte assurda appartiene alla vita, e non sappiamo se e quando riusciremo a sconfiggere la violenza ingiusta.

Ma oltre alla certezza di ciò che è il dolore assoluto, ne abbiamo un’altra, di certezza, che può essere utile per fare qualcosa di buono. Per trasformare l’esperienza del ricordo doloroso in un’azione positiva, che riduca la possibilità che si ripeta troppo spesso. La certezza è che ogni bambino curato bene, ogni bambino che abbia avuto l’essenziale da un punto di vista dei suoi bisogni di sicurezza, assai difficilmente farà del male agli altri o a se stesso. Sarà, assai probabilmente, una persona mite, capace di difendersi, ma senza essere preda dei suoi impulsi. Da questa certezza deve partire la ricerca umile e dubbiosa (ma già feconda per il fatto stesso di farla) di ciò che di volta in volta si può definire “l’essenziale” per il bambino. Una ricerca che vive e si sviluppa nell’unico luogo possibile: quello del confronto tra gli adulti che hanno responsabilità verso i bambini.

(Livù, giugno 2012)

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